In riferimento alla citazione di oggi è possibile introdurre il concetto teorico di 𝐍𝐨𝐦𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐏𝐚𝐝𝐫𝐞, ideato da Jacques 𝐋𝐚𝐜𝐚𝐧.
Secondo lo studioso francese, il Nome del Padre simbolizza la funzione del 𝐥𝐢𝐦𝐢𝐭𝐞 rispetto alla “𝐟𝐮𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐬𝐢𝐦𝐛𝐢𝐨𝐭𝐢𝐜𝐚” del bambino con la figura materna.
Quest’unione, che caratterizza il rapporto madre-figlio nei primi mesi di vita, viene concepita come una forma di 𝐠𝐨𝐝𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐦𝐨𝐫𝐭𝐢𝐟𝐞𝐫𝐨, ossia un tipo di piacere estremo che condurrebbe, però, all’autodistruzione del soggetto stesso.
Il 𝐍𝐨𝐦𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐏𝐚𝐝𝐫𝐞 entrerebbe qui in gioco con funzione di 𝐬𝐞𝐩𝐚𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 della 𝐝𝐢𝐚𝐝𝐞 e permetterebbe così alla madre e al figlio di perseguire il proprio 𝐃𝐞𝐬𝐢𝐝𝐞𝐫𝐢𝐨, ossia ciò a cui aspirano per donare senso alla loro stessa esistenza.
Il 𝐍𝐨𝐦𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐏𝐚𝐝𝐫𝐞 non è necessariamente legato alla figura concreta del padre, tutt’altro: esso può essere perseguito anche solo dalla madre che sceglie autonomamente di 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐢𝐳𝐳𝐚𝐫𝐬𝐢 da un punto di vista 𝐩𝐫𝐨𝐟𝐞𝐬𝐬𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 o 𝐬𝐞𝐧𝐭𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐚𝐥𝐞.
Di conseguenza, ciò che Lacan ci trasmette è che la madre, per creare una relazione adeguata con i figli, dovrebbe sempre provare a non incasellarsi in quest’unico ruolo, ma trovare un equilibrio anche con le altre sfere della sua vita, che le consentirebbero di 𝐢𝐧𝐝𝐢𝐯𝐢𝐝𝐮𝐚𝐫𝐬𝐢 in quanto 𝐬𝐨𝐠𝐠𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐚𝐠𝐞𝐧𝐭𝐞 (come 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐚 e non solo come madre).
Tutto questo appare in contrapposizione con le nostre 𝐫𝐚𝐝𝐢𝐜𝐢 𝐜𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚𝐥𝐢 che risultano imporre un’ideale materno volto unicamente al 𝐬𝐚𝐜𝐫𝐢𝐟𝐢𝐜𝐢𝐨, al fine di favorire le cure necessarie per un sano sviluppo della prole.
Risulta evidente, per questo, come la ricerca di un bilanciamento tra i vari aspetti della quotidianità consenta uno 𝐬𝐯𝐢𝐥𝐮𝐩𝐩𝐨 𝐬𝐚𝐧𝐨 dei figli, oltre che, in primis, un maggiore 𝐛𝐞𝐧𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 per la figura genitoriale.
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